Unità: 41
Datazione:
14 Ottobre 1400 - 15 Agosto 1430
Descrizione [sias] Descrizione Descrizione
Fanno immediatamente seguito alle carte del Consiglio Generale, quelle del Governo di Paolo Guinigi, perchè usurpato il supremo potere, lo tenne per oltre ventinove anni invece del Consiglio stesso, col nome di Signore della città e del dominio. Tutte le storie lucchesi raccontano come a costui venisse fatto di impadronirsi del principato, in qual modo lo tenesse, e come in fine ne fosse cacciato, con rovina sua e della discendenza; solo fra loro discordando gli scrittori nel giudicare più o meno severamente l'opera di lui, come può vedersi mettendo fra gli altri a confronto il Beverini, che si mostrò assai tenero e benevolo verso la sua memoria, ed il Tommasi, che forse più recisamente di ogni altro, lo dipinse quale tiranno ed inetto. A noi basterà solamente di ricordare, come essendosi, a causa della peste, allontanata da Lucca una gran parte de' cittadini, il Consiglio Generale raggirato dalla fazione de' Guinigi, il 2 Luglio 1400, rassegnava il potere e lo affidava per un anno ad una Balìa di 12 cittadini, con suprema autorità di fare e ordinare tutto ciò che ad esso Consiglio sarebbe appartenuto. In questa Balìa venne compreso Paolo Guinigi, il quale fu poi eletto anche nel numero degli Anziani per i mesi di Settembre e di Ottobre. A dì 14 di quest'ultimo mese, coloro che da lunga mano andavano macchinando l'esaltazione della casa de' Guinigi mediante la rovina della Repubblica, sotto colore che fosse necessario ridurre in un solo la difesa militare del paese, nominarono Paolo a Capitano e Difensore del popolo; il che fu il primo passo ad esser veramente principe, come divenne il 21 Novembre dello stesso anno, quando assunse addirittura il supremo potere col titolo di Signore (Dominus). E questa suprema autorità durò in lui, finchè avendo i Fiorentini rotta guerra a Lucca, e mostrandosi incapace e poco risoluto alla difesa, ed essendo oramai stanchi i lucchesi del suo governo, alcuni de' principali cittadini risolvettero di cacciarlo e ritornare agli antichi ordini repubblicani. Il che fecero improvvisamente nella notte del 15 Agosto 1430, coll'assicurarsi della persona stessa di Paolo, tenendo mano a ciò Francesco Sforza; che venuto qua, chiamato da lui in aiuto, si era poi messo d'accordo co' cittadini. Il Guinigi catturato e consegnato allo Sforza, fu mandato da lui prigione nel castello di Pavia, dove poi dopo due anni moriva di inedia e di crepacuore. Il Governo che gli succedette in Lucca, pose tosto mano sui suoi beni mobili e immobili. Quindici mesi dopo, fattogli processo da chi teneva le veci di Podestà di Lucca (Ottolino Zoppi col titolo di Commissario e Capitano Generale), Paolo veniva condannato in contumacia al taglio del capo, ed alla confisca di tutto il suo avere, senza che nulla potessero ripetere i figliuoli, che furono nella stessa sentenza perpetuamente banditi da Lucca, assieme con i loro discendenti maschi [001]}.
In mano del Governo lucchese che si impadronì di tutte le cose di Paolo, venne anche una parte delle scritture sue, mentre alcune altre si disperdevano o capitavano in raccolte private. Quella caduta in possesso del pubblico, che senza dubbio è la più importante e numerosa, noi la trovammo riunita nell'armario XI della Tarpea, e con insolita diffusione e diligenza illustrata nell'inventario della medesima, compilato nel 1707; fatta però eccezione ai libri grandi de' decreti, che erano stati allogati fra quelli del Consiglio Generale.
Ora, accresciuta di qualche documento di altre provenienze, e cavatone fuori le pergamene che furono poste nel Diplomatico, è stata distribuita nella serie presente. La quale serve a riempire le lacune del Consiglio Generale e degli Anziani che Paolo Guinigi soppresse, riunendo in sè tutta l'autorità di que' due collegi.
PREFAZIONE
Se a Giovanni Sercambi fosse stato concesso ,protrarre la vita oltre l’improvviso tramonto della Signoria di Paolo Guinigi, a ragione lo speziale lucchese, cronista e novelliere, si sarebbe compiaciuto della verità degliexemplico' i quali accompagnò lenotefatte al gridato Signore della città, essendo egli, Giovanni, suasivo consigliere della necessità d' un difensore del popolo. Poiché meglio checontra il poco sennodi ser Guido da Pietrasanta e di ser Giovanni Turchi, cui si conveniva la novella di Fasino, il Sercambi - che nel suo mal celato scontento per non aver ritratto dalla esaltazione di Paolo maggior profitto poteva ricordare al Signore magnifico l’altra commossa novella di Giabbino e Cionello avrebbe davvero ritrovato, rispetto a un più temibile amico, Francesco Sforza, la conferma di « quanto sono utili a ogni regimento gli amici provati e non quelli che fictiosamente dimostrano esser amici ».
La politica di savio e retto equilibrio, che seppe mantenere l’erede della ricchezza, se non della potenza della casata dei Guinigi, la quale alla morte di Michele, 11 ottobre 1400, come per Lucca dicevasi,non valeva un bottone- per conservare a sé il reggimento e al dominio trenta anni dei benefici, che dalla pace derivano, crollava di fatto non per debolezza di governo, o peggio per villa d' ungran rifiutoche Paolo avrebbe meditato, come allora fu detto, mercanteggiando la signoria della città con l’emula Firenze; bensì precipitava d' un tratto per quel suo voluto isolamento, pii che politico, cittadino, che il popolano Sercambi a lui non a torto rimproverava, e che fu causa, sotto Io specioso pretesto di restituire la libertà comunale, del facile ed incruento rivolgimento, complice, se non autore, appunto Francesco Sforza. Conseguenza dell’immediata caduta della signoria guinigiana fu quella Repubblica Lucchese, trasformata ben presto in oligarchia, la quale ereditando da Paolo le obbligate arti d' una politica difensiva, e le norme d' una amministrazione sapiente, più prossima alla parsimonia che alla prodigalità, seppe accortamente destreggiarsi fra la Chiesa e l’Impero, fra gli Estensi e i Medici, fino al termine del Settecento. Ma tale improvvisa caduta del Signore, seguita da quasi quattro secoli di libertà, sia pure effimera, come quella di tutti i piccoli Stati italiani, fu anche causa della cattiva fortuna del nome di lui presso gli storici di Lucca - eccetto il Beverini - mal volentieri sopportando essi il ricordo d' un cittadino, che, nato di famiglia mercantile, s' era fatto, peggio di Gio-
vanni dell’Agnello pisano, signore di Lucca. Questa fu una, se non la prima ragione, per cui al nome di Paolo Guinigi fu immeritamente dato il nome ditiranno, e la sua signoria considerata quasi una triste e buia parentesi nei fasti della Repubblica, se pure non si aggravò l'onta co 'l presentarlo, quasi a giustificazione della sua caduta, e a discolpa della sua fine sciagurata, quale un volgare traditore della patria; « calunnia tanto sfrontata - scrisse il Bongi - da non poterla nemmeno accampare in quella procedura arbitraria, non si sa se più sciocca od iniqua, che la Repubblica fece promuovere contro il caduto Signore. » [001]
Al contrario Paolo Guinigi, principe illuminato che avrebbe forse, tramandando nella famiglia il proprio mecenatismo, elevata la città. ricca ed industre allo splendore d' alcune signorie italiane, annunzia co' l favore accordato a letterati ed artisti, co' I suo bramoso affetto di libri, di gioielli, di stoffe e di belli arredi domestici, co' l suo accorato desiderio di domestica e cittadina pace, confortata dagli ozi e dalle allegrezze di festini, di giostre e di caccie in palagi e ville sontuose, annunzia il Signore del Rinascimento; mentre fu mite e saggio governante, cauto anziché pavido, e più onesto di quanto consentisse la vita pubblica del sec. XV.
Questo suo carteggio, per la massima parte fin' oggi inedito, e quasi inesplorato dagli studiosi, comprova invero quanto fu inesattamente giudicato il nome di lui, e come il suo non breve dominio meriti di essere conosciuto ed illustrato nella storia delle Signorie italiane.
Della politica interna del governo Guinigiano si riflette in questo carteggio la saggezza amministrativa ed economica, che trova la conferma nella legislazione emanata co' le più proficue ed opportune deliberazioni per la pubblica utilità. 'La visita generale' del dominio a fine di conoscere "situm statum ei conditiones terra-rum suarum ... conditiones et mores suorum subditorum et fidelium; [002]le immunità. e le esenzioni concesse a chi venisse a popolare il territorio incolto, o deserto dalle guerre e dalle pestilenze; [003]l’estimo generale dellesei miglia; [004]i divieti della esportazione dell’arte serica e la liberazione dai bandi e dalle condanne agli artefici che volessero rientrare in patria; [005]le addizioni e le correzioni allo statuto della Corte dei Mercanti e della Curia del Fondaco; [006]gli ordinamenti sui proventi del Notariato, [007]la compilazione del nuovo «volumen statutorum pro lucana civitate;" [008]
sono non oscure prove della attività rivolta dal Signore di Lucca alla costituzione civile e all’economia dello stato, del quale era il vigile e sollecito amministratore. Largo contributo alla conoscenza delle condizioni economiche del territorio lucchese nella prima Metà del sec. XV offre appunto il nutrito epistolario con tutti i vicari del dominio, dandoci con esattezza di cifre la produzione e il prezzo del grano, [009]dell’orzo, [010]del miglio e dell’avena [011]e di altre biade e cereali, esportati negli anni dei copiosi raccolti, o importati nelle carestie fin dal reame di Napoli e dalla Provenza. Dalla quale s' introduceva altresi per la via di Genova il sale, [012]acquistato anche a Livorno ed a Piombino, [013]mentre dall’Elba si estraeva in grande quantità il ferro; [014]cosicché a ragione un frate Grazia di ser Giovanni poteva chiamare Lucca « fontana di ferro grosso " proponendo al Guinigi di costruire per lui, come già aveva fatto a Bologna e a Pistoia, ferriere di gran frutto sulla piazza di S. Romano. [015]
Maggiore ricchezza era esportata dalle cave di marmo di Carrara, ricuperata nel 1404, insieme con Moneta e Lavenza, commissario a ricevere queste fortezze, perdute dalla morte di Castruccio, lo stesso Sercambi. [016]Le cattedrali di Pisa, di Firenze e di Venezia ebbero cos!, grazie al consenso di estrazione, coperte di marmo statuario le ampie pagine delle loro fronti e dei loro lati, convenendo a tal fine a Lucca lapicidi e marmorari d' ogni parte d' Italia, come maestro Nicola Lamberti fiorentino e maestro Paolo veneziano, mandati dai Dogi e dai procuratori di S. Marco a caricare su navi i marmi prescelti. [017]
Tralasciando il ricordo d' altre preziose notizie di carattere economico, quale la comandata denunzia del bestiame da macello e il fatto divieto di venderlo fuori del territorio, [018]non possiamo tacere il largo contributo che può arrecare questa raccolta di documenti alla migliore conoscenza dell’attività commerciale dei Lucchesi nella prima metà del sec. XV. Frequenti sono le notizie, e non di solo costume privato, dai principali mercati d' Europa, con speciale riguardo all’industria della seta, la quale già. « era quella che riempiva Lucca di denari " come dice il Sercambi, che sollecitava per ciò nella suanotaai Guinigi quei provvidi ordina-menti per il suo rifiorire, in parte emanati dal governo di Paolo. Il quale incoraggiò pure la venuta in Lucca di mercadanti e artefici con facili concessioni di cittadinanza, e con privilegi e con esenzioni di gravezze. Sebbene non si lavorassero più in Lucca — conforme a quanto attesta il cronista — gli antichi e sontuosi tessuti ad oro e argento, [019]a cagione della guerra tra Francia e Inghilterra, che ne impediva lo smercio in quelle nazioni; delle sempre ricche stoffe di damasco e
broccato, che ancora si tessevano nella città, é larga menzione nei cospicui dona tivi, offerti dal Signore magnifico ad amici e nemici, quali i drappi per diecimila: fiorini d' oro patteggiati in cambio della pace con Braccio di Montone, [020]e meglio ilpanno pulcherrimo, di cui lo ringraziava Bouciquault, cioé Giovanni. Le Maingre, il governatore francese di Genova, [021]e l’altro regalato al doge Giorgio Adorno, che a lui parve „ lo più bello che mai vedesse ; [022]e poi gli arazzi offerti per la Cappella di Bonifazio IX, in sostituzione di quelli arsi, [023]gli abiti donati a Bartolomeo Mosca, ambasciatore a Sigismondo, [024]nonché le ripetute commissioni di tessuti fabbricati a Lucca. [[note:025 a) 174. App. 70, 73. Quale fosse la. misura e il valore di queste stoffe è dichiarato dalla seguente mandatoria di Paolo Guinigi « die XIj martij [1404]. Paulo de Balbanis Pro pretio petiarum duarum drapporum serici, unius vidilicet contexti ad aurum cum laccio albo et nigro brachiorum 35 quartorum trium alterius videlicet zettani vellutati albi et viridis broccati ad aurum finum brachiorum 34 3/4 quas serenissimo principi et domino domino Ladislao Ungarie Jerusalem et Sicilie regi donatum misimus in totum florenos quingentos septuagintaseptem auri in auro sine ret[entione gabelle] fl. 577. » Camarlingo Generale, n. 377, c. 82,]].
A questa materia della più proficua industria, che fu onore e vanto cittadino, é connesso, a cagione della sua stessa ricchezza e della larga diffusione per le vie del mondo, il diritto di rappresaglia, più spesso sofferto che goduto dai mercanti lucchesi. Perché, come é noto, sugli interessi dellecompagnie, più che il di-ritto di preda o il pericolo di ladrocinio, duramente gravavano angherie e consuetudini di luogo, quale l’obbligo del pagamento di pedaggio, che se non era sodi-sfatto faceva sequestrare la mercanzia, come avvenne - per citare un solo esempio
Nicola Bertini in Provenza, per avere ignorato che in virtù d' un decreto di Carloil Calvodovea sborsare alla gabella di Aix dieci soldi per ogni soma condotta da Nizza a Parigi. [026]Altra volta erano ragioni politiche, che impedivano il libero transito delle merci, non solo per guerre, ma per semplice taccia di seguire la parte nemica. Dicendosi, ad esempio, a Lione che i Lucchesi erano borgognoni, laguidadelle balle, oconduttore, informava che per recarsi a Parigi bisognava transitare da Ginevra e depositare prima la merce in Bruges. [027]E Ladislao, re di Napoli, per motivi consimili, sequestrava 500 fiorini dovuti ai Bernardi ed a Trenta per panni di seta ad oro da essi venduti a mercanti napoletani. [028]. Il Guinigi interveniva sempre, a favore dei concittadini, per rimuovere i danni troppo frequentemente causati da queste odiose rappresaglie, e per evitarle non mancava, sempre ad esempio, di redarguire severamente anche i propri congiunti quando una volta ebbero " comperato intorno a centocinquanta balle di lana, di quella che fu presa in su le navi inglesi, le quali furono tolte per li genovesi in mare » perché a se a notitia viene del re d' Inghilterra ... tutti li mercadanti nostri che sono in del reame saranno divenuti in avere A in persona con loro disfacimento. » [029].
Sempre per la storia della mercatura hanno valore le lettere dai due principali centri dell’attività commerciale lucchese, Bruges e Parigi, co' i nomi dei ricchi mercanti, che colà nellenazionid' oltr' alpe, regolate da propri statuti, face-
ano onore co' l’onesta e co' 1 lavoro alla patria lontana. Fra queste numerose lettere hanno particolare interesse, anche per le notizie politiche trasmesse, quelle dei componenti la famiglia Trenta, fra i quali Federigo, che consigliava il Signore di Lucca di far richiedere dal Papa al Re di Francia ( che ogni lucchese ab eterno fesseno borghesi di Parigi » essendo stati di grande antichità, fedeli amatori di questo reame e fatto di grande mercatantie, e dato sempre grande onore e pro-fitto » alla Francia. [030] [031]
Queste ed altre prove dell’ultimo splendore della gloriosa mercatura lucchese trovano il loro naturale complemento nei dati riferiti sul valore della moneta --- la più citata il fiorino di Genova — [032]variante al cambio secondo gli avvenimenti politici; e nelle informazioni date sulle gabelle, imposte a Genova, per esempio, sul-le lettere di cambio in ragione d' un ottavo di fiorino per cento. [033].
***
Il carteggio di Paolo Guinigi acquista pregio maggiore nella parte che può dirsi propriamente storica, e che é la più copiosa di fatti e notizie inedite, illustranti tutta la politica italiana del tempo, con speciale riguardo alle relazioni avute dal Signore di Lucca co' la Chiesa e l’Impero, co' le Signorie e i Municipi di Italia per potere conservare lungamente il dominio con una saggia ed accorta, ma pericolosa misura d' equilibrio.
Alieno dal seguire l’esempio di Firenze, sollecitante la discesa in Italia di re Roberto di Baviera, preferi restare indifferente ai contrasti derivati dalla deposizione di Venceslao, non provocando, ma semplicemente accettando dal nuovo eletto, di cui non doveva ignorare ilnome vano senza soggetto, brevi ed insignificanti comunicazioni. [034]Né cadde nell’inganno tesogli di aderire all’ambasceria fiorentina inviata al nuovo Re dei Romani, co' 1 proposito di sottrarre Pisa ai Visconti, anteponendo giustamente il dominio di questi sulla città di confine a quello dei più temibili vicini. Anche maggiore destrezza diplomatica seppe dimostrare co' l successore Sigismondo, del quale evitò la servitù dei tributi, non altro che ossequiosi omaggi protestandogli nella guerra sorta fra l’Impero e Venezia, [035]e riuscendo a strappare, quasi a premio della felice e sagace sua opera di paciere fra Genova e Firenze, la cui concordia fu solennemente conchiusa in Lucca nel tempio di S. Romano il 2 7 aprile 1413, l'ambito ed alto riconoscimento di vicario imperiale per sé e per i suoi discendenti, 6) nella stessa forma che ottenne Castruccio da Lodovico il Bavaro. Tale coronamento delle sue relazioni con l'Impero apparisce più sapiente che fortunato a chi penetri addentro alla sua politica esterna, dalla quale fu consigliato avvedutamente ad appoggiarsi a Genova anziché a Firenze; ma più a chi conosca le difficoltà superate, che questo carteggio rivela, delle quali é indice la risposta, che avrebbe dato l'Imperatoreturbandosi, a Fran-
cesco Giustiniani: « Lo Signor di Lucca non m' ha mandato a visitare; elli dé sapere che Lucca é mia ! » Alla quale velata minaccia Battista da Montalto, oratore genovese consono alla politica del Guinigi, avrebbe replicato meglio corrispondere agli interessi della sua « comunità che Lucca stesse e fusse al segnio che é oggi, che farla libera, però che in la città sono tanti voleri, che rimanendo libera, non si saprebbero unitamente ghovernare, onde converrebbe venire sotto i fiorentini... si che il modo é che questo Signore si mantegni. » [036].
Così poteva Paolo, investito dal doge Giorgio Adorno, procuratore imperiale, della dignità e dei privilegi del vicariato, che significava riconoscimento della sua signoria, trasmissibile ai figli, assurgere presso i contemporanei, e poi nel concetto storico e letterario del Machiavelli, a erede legittimo di Castruccio Castracane, non per la duplice eredità cospicua derivatagli dalla sua prima donna Caterina Antelminelli e dalla madre Filippa Serpenti - come opinò il Bongi — ma piuttosto dal titolo conferitogli di Vicario imperiale, quale fu il primo e più potente Signore di Lucca. Ma al contrario di questi, quasi raggiunto al vertice della gloria dall’anatema di Giovanni XXII, si studiò Paolo Guinigi, dal primo anno della sua esaltazione di seguire rigororamente nella sua politica ecclesiastica, così dubbiosa nelle difficili vicende dello scisma, la parte del legittimo Pontefice.
Primo risultato di tale proficuo legame co' la Chiesa fu la concessione implorata ed ottenuta da Bonifacio IX dello annullamento delle pene, non tutte spi rituali, cui i Lucchesi supinamente soggiacevano dal 1340 per riscattarsi dall’interdetto, che li aveva colpiti a causa di Castruccio, seguace del Bavaro; [037]successo questo, che il Tomrnasi, troppo severo giudice, invano si studia di attenuare insinuando che tal grazia fosse richiesta dal Guinigi non dal desiderio di una generale assoluzione della città da ogni ricordo di censure incorse, ma, piuttosto perché «l’alterigia del tiranno ripugnasse da simile atto di penitenza e di umiliazione ». [038]Tanto era altero e tiranno che al celebre convegno di Lodi, ove tra le due massime potestà del mondo fu conchiuso l’accordo per il più ;rande avvenimento del tempo, il concilio di Costanza, fra lo sterminato stuolo della signoria d' Italia non comparve Paolo Guinigi, sibbene il vescovo di Lucca; quel Nicolao, cugino di lui, che proprio all’inizio del dominio e malgrado la santità del ministero e i vincoli del sangue » - per ripetere le parole del Tommasi stesso - s' era fatto capo d' nna congiura contro il novello Signore, dal quale, tanto era tiranno, fu generosamente perdonato. Né a cospirare fu il primo, né ad essere graziato l’ultimo.
Tanto i preliminari del convegno di Sigismondo con Giovanni XXIII, quanto l’episodio stesso solennissimo del loro incontro, che sembrò ripetere nella umiltà. dell’ossequio imperiale alla maestà del Pontefice la scena svoltasi a Venezia tra
Alessandro III e il Barbarossa, sono documentati nei più minuti particolari, perfino nelle parole pronunciate dagli augusti personaggi, co' le lettere scritte dai testimoni oculari. [039]Del pari lo studioso troverà ampia mésse da raccogliere fra i documenti, qui adunati, intorno allo scisma ed ai vani tentativi per comporlo, favoriti dallo stesso Signore di Lucca, che a tal fine ebbe il meritato vanto d' ospitare per sei mesi nella sua città la corte pontificia. Il quale nuovo successo della sua politica fu coronato dal donativo dellarosa d' oro, conferitogli per mano di Gregorio XII il 25 marzo 1408, la domenica diPancordaceidice il Sercambi; do-nativo, che può considerarsi come il riconoscimento della sua signoria da parte del-la Chiesa. [040]Né mancano gli avvisi e le notizie dalla parte contraria, intorno al soggiorno a Portovenere di Pietro de Luna, [041]alle sue ripetute ambascerie, e agli oscuri maneggi, denunziati da Paolo a Iacopo Fatinelli in Roma co' le parole d'allarme per il Papa e per il cardinale Cosma de' Meliorati, che fu poi Innocenzo VII:
« Svegliali, ché non é tempo di dormire! [042]Per ciò a ragione Alessandro V, dopo avergli annunziata da Pisa la sua esaltazione, che segnava l’inizio della fine dello scisma, accoglieva lietamente gli ambasciatori lucchesi magnificando a cardinali e prelati le benemerenze del Guinigi verso la Chiesa; e conbuona ceradel pari accoglieva i suoi oratori Giovanni XXIII in Firenze, seco trattenendolialla colatione. [043]Questi avvenimenti, che si accentrano poi nel concilio e nella elezione a Costanza di Martino V, [044]cui fu inviatapro prestanda obedientiasolenne ambasceria, trovano il loro futile ma necessario compimento in una profluvie. di minute notizie, che arricchiscono la cornice del quadro storico con bagliori di luci e di tinte così da suscitare la vita dalle morte carte.
Comprendiamo tutto l'imbarazzo di Nicolao Onesti, il buon vicario di Montecarlo, all’annunzio che per la sera del 24 gennaio 1408 doveva ospitare nel suo minuscolo castello il papa Gregorio XII con tredici cardinali e ben quattrocento cavalli del seguito. Alla vigilia aveva pronte quarantacinque paia di capponi, men-tre vino, pane, formaggio, uccelli, e perfino un porcelletto, confluivano da tutte le vicarie a fare onore a quella strepitosa cavalcata di prelati e di cavalieri attraverso la Lucchesia. Con tanta copiosa vettovaglia il vicario di Montecarlo non acquistò tuttavia il merito ambito, perché, come angosciosamente dubitava, il Papa sopraggiunse in un giorno di vigilia; né avendo potuto corrispondere al suo desiderio con l’offrirgli del pesce, dové supplire per la colazione con poche uova. [045]Ma forse anche più mortificato rimase quando di nuovo passata la numerosa comitiva da Montecarlo, dopo il lungo soggiorno in Lucca, per recarsi a Firenze, non poté, con tutta la sua buona volontà, ritrovare e rimettere l’anello cardinalizio, che colà
aveva lasciato, o meglio smarrito, tanto gli premeva ! l’insigne domenicano umanista, beato Giovanni Dominici, creato cardinale dt Ragusa appunto a Lucca, nel-la promozione qui avvenuta il 9 maggio 1408.
Le intime relazioni co' la Chiesa, che si protraggono per tutto il pontificato di papa Martino V, s' intrecciano co' la politica italiana, della quale é riflessa in questo carteggio la parte meno conosciuta e piú gelosa.
Fautore ostinato di pace, quando tutta Italia era in arme, dispregiò l'alleanza aggressiva di Firenze contro i Visconti per contrastare, quanto poté, l'acquisto di Pisa, e solo nel t 422, accedé, con tali riserve e limitazioni in favore di Venezia, ali' alleanza fiorentina, da risvegliare dopo presso i mal fidi vicini piuttosto il risentimento che il ricordo della lega con essi contratta. [046]Il quale atteggiamento ai danni di Lucca, anche dopo la caduta del Guinigi, e poi proseguito con maggiore cupidigia dalla politica di Cosimo I dei Medici, conferma, contro quanto asserisce il Tommasi, [047]che fu avveduto e previdente consiglio quello del Principe lucchese di ricercare alleanza presso le signorie verso le quali convergevano, senza rivalità di commerci -- come avveniva per Firenze - gli interessi economici della sua città.
A tal fine riallacciando i patti d' amistä con Genova, che fino dal 7 ottobre 1166, co' la lega di Lerici era stata auspice della grandezza repubblicana di Lucca contro Pisa, la comune rivale, ottenne per tutti i suoi concittadini la concessione delle franchigie e immunità godute dai genovesi stessi, la revoca dell’arresto delle merci dirette al suo porto di Motrone, e la licenza di esportare quanto gli bisognasse, eccetto lane e grano. [048]Tali frequenti rapporti co' la potente città marinara illuminano con un contributo di documenti notevolissimi non solo la politica guinigiana ma quella genovese nel periodo turbolento delle sue divisioni interne, che pur riuscirono a riscattarsi dalla custodia dei governatori francesi e dalla signoria del Marchese di Monferrato restaurando il libero reggimento. L’impresa di Pisa, che si conchiuse co' la vendita della città a Firenze e l'acquisto di Livorno, fatto da Genova, fu tuttavia uno scacco per Lucca, che ambiva fosse conservato ai Visconti.
E qui sono ampiamente documentati gli ultimi giorni della signoria pisana di Gabriele Maria e di Agnese de' Mantegazzi, sua madre, [049]i provvedimenti ordinati dalla repubblica genovese per la fortificazione di Livorno; [050]la guerra intrapresa contro i Catalani, [051]e contro i Fiorentini, la pace co' i quali ultimi, si conchiuse -- come già, accennammo - nella cittä di Lucca; [052]infine tutto il triste periodo delle civili gare fra Doria e Spinola, fino al dogato di Giorgio Adorno, [053]e quindi alla cessione della città a Filippo Maria Visconti. Del qual fatto avvenuto per la abdicazione di Tommaso Campofregoso il 2 novembre 1421, ma già da tempo meditato, il Guinigi aveva ricevuto segreta notizia fino dal febbraio di quell’anno dal suo vicario di Massa per le confidenze avute da Tommaso della Rosa, il quale provenendo da Milano era stato di passaggio colà, diretto a Firenze per
offrire alla chiesa di S. Maria Novella unex-votodi cera, raffigurante la figura del Duca a cavallo. [054].
Favorevole sempre ali' ingrandimento della potenza dei Visconti, che doveva, secondo il suo concetto d' equilibrio, bilanciare a vantaggio di Lucca il predominio di Firenze in Toscana, accresciutosi con l’acquisto di Pisa [055]venne a distaccarsi per-sino dall’amicizia cortese e proficua di Venezia, quando collegata nel 1426 co' i Fiorentini, contrastò a Filippo Maria la mire imperiali ereditate, senza pari prudenza ed accortezza, da Gian Galeazzo suo padre. Venezia, che Lucca aveva decorato di bianchi marmi ed avvolta nel paludamento sontuoso dei drappi serici, colà tessuti dal rifiorito magistero dei suoi testori; Venezia, che aveva corrisposto alle accoglienze oneste e liete dei suoi oratori al Signore di Lucca iscrivendo lui co' i figliuoli e co' gli eredi nel numero dei nobili del Maggiore Consiglio, [056]non perdonò mai il mancato soccorso nella guerra di terraferma, e fin dalla pace di Ferrara augurò a Paolo Guinigi una prossima fine co' le parole d' invito e sicurtà rivolte dal suo doge Francesco Foscari a Marcello Strozzi: e Saprete voi, fiorentini,. gastigare quel tristo del Signore di Lucca ? » [057]
Queltristo, che aveva deposto sulmontedei prestiti di Venezia oltre 200.000 ducati d' oro, somma in quei tempi da comperarvi un mezzo regno - come scrisse il Bongi [058]- non aveva dubitato alle prime avvisaglie della guerra di Lombardia da qual parte propendere, pur non ignorando, come irremissibilmente avvenne, che seguendo la parte dei Visconti significava perdere non il solo diritto di cittadinanza veneziana, sibbene il più cospicuo diritto sul proprio ingente deposito. E questo ostinato, ma fedele e onesto indirizzo politico verso il Duca di Milano, dal quale a ragione era dato sperare facile soccorso dalla via del mare, essendo egli signore di Genova, palesemente era confermato allorché Ladislao Guinigi, suo figliuolo, passava con settecento cavalli al soldo del Visconti.
Chi potrebbe fare addebito al Magnifico di Lucca se allora per schermirsi dal pericolo imminente, che gli sovrastava, rivolse lettere ed ambasciate di umile protesta e giustificazione alle Signorie di Venezia e di Firenze, dettate se non proprio dall’intenzione di sodisfare al desiderio dei Lucchesi « di volere essere governati in pace et non in guerra » certo almeno suggerite da quella destrezza po litica, di cui fu supposto a torto deficiente ? [059]
Fino dall’acquisto di Pisa, racconta il Sercambi, si diceva a Firenze fra la letizia di canti e falò "Pisa abbiamo comperata, e Lucca aremo in dono [060]E Giovanni Cavalcanti aggiunge che alla vigilia della nuova impresa, che sembrava foriera di altra agognata preda, sempre per le vie di Firenze si cantava:«Guarti Siena, chi Lucca trema» Ed anche così: -« Ave Maria, gratia piena - Avuto Lucca, avremo Siena. » [061]Né mancò dalla parte di Firenze, sempre accusata della
invasione di Braccio, un tentativo di corrompere il commissario di Castiglione per avere facile l'accesso nel territorio lucchese anche dalla Garfagnana. [062]
Le ultime lettere del Guinigi sono rivolte dunque, a guerra ormai dichiarata, e condottagli contro da Niccolò Fortebraccio, a chiedere un disperato aiuto al Duca di Milano, oratore Antonio Petrucci, [063]ed alla comunità di Genova per bocca di Bonfiglio da Fermo, al quale fieramente scriveva: - a Vi dichiamo che nostra intentione é di mettere infine al sangue,etiam si expedit segui virilitatem Saguintinorum, et una cum civitate pereamus. [064]
Già illustrando questi documenti dicemmo co' l Rubieri che al Duca di Milano « non parve varo di. esercitare il maligno suo ingegno, rendendo ai Fiorentini pan per focaccia, » [065]giacché per non violare la pace giurata, che vietavagli d' intromettersi nelle differenze di Toscana, sperò trovare nel braccio dello Sforza il valoroso strumento della sua occhiuta politica contro Firenze. [066]Ma l’avido condottiere, assoldato dal Guinigi, troncò a mezzo l’impresa, corrotto, se non dall’oro fiorentino, certo dalla bramosa esca del tesoro di Paolo; e con uno di quei bellissimi inganni, propri della gente d' arme d' allora, sostenne la congiura cittadina contro il Signore. Il quale, avanzatosi inerme fra coloro che cercavamo a morte nella notte sopra il 15 agosto 1430, chiese soltanto che come senza sangue era stato inalzato alla Signoria, così senza sangue fossa deposto. Mentre i figliuoli di lui, Ladislao, Agostino e Rinaldo languirono in prigionia fino al 1441 — anno nel quale furono liberati da Francesco Sforza a render maggiore il tripudio delle sue nozze con Bianca Maria — egli, Paolo Guinigi, uomo degno di migliore fortuna, si spense dopo due anni e molto cristianamente » nel castello di Pavia. [067]
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La figura di Paolo Guinigi, magnifico Signore di Lucca, meglio che dai documenti della sua politica e del suo governo, si profila dalle carte domestiche nel-le quali rivive in mezzo alla famiglia numerosa e allo sfarzo d' una piccola corte, ingentilita dal tepore della fiorente Rinascita. Pur non lasciando lacittadella, cominciata a murare il 9 maggio 1401 sui ruderi dell’Angustadi Castruccio, si fa costruire all’aria libera di levante « uno nobile palagio con un bellissimo giardino » come dice il Sercambi, chiamando maestri di pietra, di legname e di ferro d' ogni parte d' Italia. Ambrogio e Donato da Fiesole, Pietro da Brescia e Giovanni Ganti scolpirono le colonne, le basi e i capitelli delle trifore, mentre Iacopo da rvIarti, Iacopo da Siena, Domenico e Giuntino Guidi intagliarono per la travatura a cavalletto gli abeti di Frassinoro. Soprintendeva ai lavori della fabbrica, che
fu chiamata ilPalazzo dei borghi, Piero Lamberti fiorentino e ne furono forse gli architetti Engherardo di Franconia, Corrado d' Alemagna, e Niccoló da Venezia maestriingegneri, cui si possono attribuire anche i lavori di fortificazione, compiuti in quel tempo, alle mura e alle rocche lucchesi. [068]Il lavoro iniziato, secondo il Sercambi il 1413, era poco o nulla progredito nel 1417, perché appunto in questo anno fervé la mano d' opra degli artieri, come dimostrano le fatture delle spe-se, che ascesero, sempre secondo il cronista aulico, a trentaseimila fiorini d' oro. Il 7 agosto 1420 era, se non compiuto, certamente adornato dall’aconcimedi quello, avendone il magnifico Signore sollecitato l'ornamento per celebrarvi in tal giorno un sontuoso festino, " alla scoperta di nocte. " Alla quale cena presero parte circa settanta homini ciptadini e circa ottanta donne honorevoli, addobbate di drappi di seta et perle... e molti forestieri e molti trombetti et piffari, buffoni et giullari " per onorare due coppie di sposi: lo stesso Signore di Lucca, cui era stata condotta da Foligno madonna Iacopa Trinci, sposata per procura, e Ladislao sedicenne suo primogenito, che in quelli stessi giorni aveva sposata Maria, figlia di Gentil Rodolfo dei Varano di Camerino. [069]
Era il quarto imeneo, che coronava felicemente la. sua politica nuziale intrecciata alle sorti degli Antelminelli, dei Dal Carretto, dei Varano e dei Trinci, donde a lui provenne più molesto il peso delle sciagure domestiche che gradito il beneficio, rinfacciato dai suoi detrattori, delle doti cospicue si, ma non potute mai interamente ripetere. [070]Nel 1423, sollecitava dal suocero Carlo Dal Carretto non solo il resto della dote d' Ilaria, morta fin dall'8 dicembre 1405, ma anche il prestito fattogli di 500 fiorini. [071]Le sue nozze e& la giovane e bella figliuola del Marchese di Finale, celebratecon smizurata festa in Santo Romanoil 1403, sospese le leggi suntuarie, ordinate le ferie alle curie, e liberati prigioni, [072]erano precocemente disciolte; ma la forza dell’affetto maritale. che invano aveva conteso alla morte la dolce sposa co' la scienza medica del celebre Ugolino da Montecatini, [073]piú fortunata riusciva a tramandare lo splendore della perpetua bellezza di lei, labianca fiordaligideposta sull’arca fiorita nella felicità del sonno eterno dal magistero dell'artista senese. Sappiamo che il padre d' Iacopo, l’orafo e scultore Pietrodella Guercia, che intagliava statue sacre a Lucca fin dal 1394, incise per il generoso mecenate
i due sigilli ufficiali della sua signoria; [[note:074 . Si trovano impressi di diverse grandezze, ma della stessa mano; e di uno si conosce il prezzo pagato ali' artista. « Die 16 martij [1401] magistro Piero de Senis aurifici pro constructione sigilli domini florenos sex auri in auro » Camarlingo Generale, n. III e, 171.]]ma della più insigne opera scolpita dal figlio per l’amata Donna del Guinigi é perduta disgraziatamente la mandatoria del pagamento, che doveva essere contenuta nel registro mancante del 1405, come esattamente ritrovasi fra quelle dell’anno prima il prezzo d' un altro monumento marmoreo; innalzato per volontà di Paolo dallo scultore Antonio Pardini nella chiesa di S. Francesco alla memoria del maestro di teologia fr. Marcovaldo 'da S. Miniato. [[note:075 « [1405] XXV julij Antonio Pardini magistro tapidum de Petrasancta pro quondam sepulcro marmoreo quod mandare dominus fecit in ecclesia sancii Francisci lucani in quo sepultum est corpus venerabilis in sacra theologia magistri fratris Marcovaldi de sanciti Miniate, qui obijt de anno proximo preferito, Stefaninus [de Chiatri] camerarius suprascriptus dedit et solvit vigore provisionis fatte die XIII julij proximi florenos duodecim in auro sine diminutione [gabelle] valent lib. 45 s, 12. » M. n. 84, c. 272.]]Tuttavia i celeberrimo artefice, che nella sua prolungata dimora lucchese creò forse le opere meglio pervase dall’impeto del genio giovanile, chiaramente si palesa in questo carteggio in una ignota e singolare avventura amato-ria, di cui fu protagonista un suo scapigliato compagno d' arte, Giovanni da Imola, e più d' una volta testimone discreta la cappella Trenta in S. Frediano, mentre i due artisti lavoravano alla mirabile costruzione del dossale politico. [076]Ma nomi d' artisti tuttora noti, od oscurati dal tempo, ricorrono frequentemente nelle lettere guinigiane, offrendoci nuovi o più chiari argomenti del suo amore intelligente per le arti e per le lettere. Veniamo.a conoscere che le tavole d' elce marezzate come stoffa di giambellotto pendente in rosso, donde Arduino Abaisi trasse il bellostudiointagliato per il Signore di Lucca l'anno 1413, [[note:077 . « 21 februarij [1414] Arduino de Bononia pro parte solutionis eius magisteri] et taboris unius studi]. de lignamine quod nobis fedi flor. 100. » Camarlingo Gene rale, n. 379, c. 90.]]provennero di Fiandra, [078]e che quel « maestro d' intagli et ogni lavoro di legname avvantaggiatissimo fu presentato con meritata lode al Guinigi da Nicolò di Uzzano da lui servito in Firenze conlavori exquisitissimi. [079]Non sembra che rimanesse egualmente sodisfatto il marchese Bartolomeo Fatinelli, che avendo lite appunto in Firenze nel 1421 co' l medesimo Arduino, nel ritornare in patria venne assalito alcolle delle donneda due familiari dell’artista, e solo fu salvato dalla velocità del suo cavallo. [080]. I molti libri, che racchiudeva questostudio— delle cui ultime disgraziate vicende informò il Bongi — furono certamente alluminati in parte da un fr. Giovanni e da e don Iacomo miniatore perfecto " a forza tratto a Lucca da Bologna, ove ave-va tra le mani, il 1413, un breviario del Papa. [081]
Il Guinigi, attorniato nella sua piccola corte da uomini letterati, quali Domenico Totti, Antonio da Capannori, Giovanni Turchi, Agostino Gherardi ed i suoi più intrinsici, se non più fedeli, Giovanni Sercambi e Guido da Pietrasanta - i quali tutti si ritrovano adunati in queste pagine - era avido ricercatore di codici, ad acquistare i quali deputava persone idonee, come forse Enoch d' Ascoli, [082]e sicuramente il pisano Iacopo del Testa, che per lui- comprò in Pisa l'autografo in tre
libri del commento dantesco di Francesco da Buti. [[note:083 " XVI octobris [1405] Iacobo del Testa de Pisis quod ipse Iacobus in civitate Pisarum pro dicto domino solvit pro pretio trium tibrorum in quibus descripte sunt expositiones Dantis manu magistri Francisci de Buytl, Stefaninus [de Chiatri] camerarius suprascriptus dedit et solvit vigore provisionis facte die 9 octobris proximi quod potuerit dedisse et sotvisse fíorenos sexagintaquinque in auro valent lib. 247. » Camarlingo Generale, n. 84, c. 132 v.]]Né mancava a si preziosa materia l’idonea corrispondenza della ricca legatura con fermagli e ornamenti d' argento, che si trovano pagati all’orafo Nanni da Siena, [[note:084 . « XVIII novembris [1408] Nanni Pieri aurifici pro pretio unciarum 3s i/2 argenti laborati quod ab eo habuimus pro fulcimento quorundam nostrorum librorum flor. 44 auri, lib. I, sol. 6 » Id. n. 378, C. 4.]]
L’inventario della libreria stessa del Guinigi, edito dal Bongi, e più la corrispondenza del Manfredi, che auguriamo faccia seguito e compimento a questo regesto, meglio illustrano l’aspetto umanistico del Signore di Lucca. Il quale, come documentano le sue lettere, era altresi smanioso di sfavillanti gioielli, di sontuosi arredi, di vesti, di fregi e di pelli per la sua persona, per le sue donne e per i familiari. A Napoli faceva per luiincetta, come si diceva, Iacopo Fatinelli, acquistandogli nel 1410 fermagli con balasci, perle, smeraldi e zaffiri per una somma di 2,000 fiorini; [085]a Venezia quel Tommaso Soffia, che mercanteggiava in gioie ed oreficerie anche con gli Estensi; [086]ed a Genova il mercante Giovanni Ritaglia, che forni nel 1404 anche trentaquattro braccia dizettano ve/iuta/o in cremisidel valore di 132 fiorini per un magnifico dono a Ottobuono Terzi, signo-re di Piacenza. [087]Un altro fornitore di Parigi, ove per le guerre l’acquisto era vantaggioso, fu Lorenzo Trenta, il quale favorito dal Guinigi per i suoi interessi a Bruges, [088]non solo, come dimostra il passo d' una sua lettera scritta il 1408 da Parigi a Guido da Pietrasanta faceva compra d' oreficerie e argenterie, [089]ma da vero mercatante signore qual’era, poteva regalare a Paolo Guinigi, emulando il donativo del duca di Bechtfort, [090]) un collare d' oro di 23 once, pregandolo, dice-va, « vi piaccia guardarlo tanto che de' vostri sia uno cavalieri e allora lo porti non come cosa degna a lui, ma per amor di chi lo manda. » [091]E Matteo, suo fratello, splendido del pari, lasciava al Signore di Lucca dodici tazze gravi d' argento parigino; [092]mentre madonna Piacentina era regalata diconfectioni e vasi d' Indiada Franca, consorte di Princivalle Vivaldi genovese. [093]
Sempre a dimostrare la ricchezza della piccola reggia guinigiana questo stesso epistolario ricorda più volte Bartolomeo di Marco Stefanetti, l’orafo costruttore d' un reliquiario a forma umana per le reliquie di Santo Agnello, [[note:094 . a) 314.« die 16 martii [1401] Bartolomeo Marci aurifici tucani civi pro residuo sui laboris et facture adhibite per ipsum in costructionem teste argentee sancti Angnelli, et per ornai et toto... occasione predicta aliquo modo petere posset flor. unum auri in auro. » Camartingo Generale, n. III, c. 172. v.]]e di molte altre dorerie, fra le quali una navicella d' argento aurato, e un sontuoso vasellame da tavola. [[note:095 «9 dicembris [1404] Bartolomeo Marci aurifici pro tibris vigilai argenti fini et pro certa quantitate auri quam ab eo habuimus et pro magistero cuisdam navis argenti deaurati quam nobis feci/ etc. fior, 374. » Id. c. 9 v. Al medesimo, il 20 aprile 14o3, fior. 29r per libbre 27 d' argento impiegate « in faciendo... piatterros scutetlas salseria nappos et res alias.» Id. n. 377, c. 108.]]Lavoravano per lui altri orafi noti, come quel Pajo di Nocco
da Pisa, [[note:096 «die XIII novembris [1408] Pajo de Pisis aurifici Luce commoranti pro pretio unius calicis argentei guem ab eo emimus florenos viginti septem auri sine retentione gabelle, flor. 27. » Id. n. 378, c. 94.]]dalla cui bottega nel braccio di S. Lucia, in cui educò alla sua stessa arte i figli Piero e Francesco, uscì forse la mirabile opera da loro dettaCroce dei Pisani; Vincenzo di Michele da Piacenza, la cui simile croce d' argentocum crucifixo et pluribus alijs figurispuò essere quella che si ritrova nell’inventario delle sue ricchezze, [[note:097 «die XXVIJ augusti [1411] Vincentio magistri liliehaelis aurifici de Plagentia Luce residenti pro residue ct finali solutioni pretij unius crucis cum crucifixo et pluribus alijs figuris de argento ponderis in totum librarum XXI et unciarum VII 1/2 quam nobis fecit et vendi/ etc. Jlor. 249. Id. 2 sol. 14. » Id, n. 379, C. 5. Cfr. S. BONGI, op. cit. pag. 72.]]e Cola di Nicolao Spinelli da Firenze per l’ornamento d'un elmo a foggia di liocorno, del costo di oltre cento fiorini più ventitre per la doratura dell’argento. [098]Corazze, loriche, celate e bracciali si trovano fabbricati da Stefano di Giorgio, armaiolo di Milano, [099]da Bonaccorso di Corsica fabbro anche d' elmetti, [100]da Antonio Abraam di Alemagna, e da Nanni corazzaio di Firenze, che fece due loriche da offrirsi in dono al re Ladislao, [101]
Giä accennammo alle drapperie lussuose e alle belle vesti, ad acconciare le quali aveva esperto sartore, che premurosamente inviava con ricchi abiti incontro alle novelle spose Iacopa Trinci e Maria da Varano, [102]come presso di sé ebbe abili ricamatori di stoffe, quali Giacomino e Luchino da Milano, [[note:103 . « 1 octobris [1405] Jacomino de Medio/ano raccamatori pro servitijs et laborerijs factis domino fior. 4t.» Id. n. 84, c. 132; e h) 1177.]]Pietro e Drudo da Firenze. [[note:104 . « 10 mirti/ [1403] Piero et Drudo de Florentia raccamatoribus pro raccamis nobis factis et prrlis nobis venditis flor. 323» Id. 377 C. 7.]]Le sontuose stoffe erano guarnite di più preziose pelliccie fornite al Signore da GiorgioMannitedesco [[note:105 «12 novembris [1429] Giorgio Manni de Alamania pillipario pro una fodera fainarum flor. 34. » Id. n. 381 c. 7.]]e da Andrea Gori fiorentino, il quale nella fausta occasione delle sue nozze con Ilaria del Carretto gli vendé due pelliccie di martora ed altre svariate pelli di valore per 273 florini d' oro. [106]Amante della più. fine e ricercata biancheria d' oltralpe se ne faceva provvedere dal ricordato Lorenzo Trenta con altri oggetti di suo uso personale, [107]e per conservare degnamente quei ricchi corredi chiamava a costruire e ornare gli scrigni i più abili intagliatori e pittori, come Cristoforo Bendetti da Siena. [108]
Ma troppo lungo, e fuori del nostro proposito, sarebbe richiamare dai nume-rosi documenti la vita e il costume lucchese attraverso la Signoria di Paolo Guinigi. Lo studioso poträ facilmente conoscere dalle fonti citate e da questo ampio regesto lo svolgersi quotidiano delle pubbliche e delle domestiche cose, penetrando nella stessa intimità del palagio signorile per conoscere il nome dei suoi familiari fino all’ultimo deidomicellie deiguattari, tra i quali ricorrono nomi di francesi, tedeschi, inglesi e spagnoli. E di preferenza adibiva stranieri al servizio dei suoi stabulari, numerosi di cavalli e cani, di cui frequente fanno ricordo le sue lettere per doni o prestiti o compre anche nei più lontani paesi, come a Tunisi ed a
Bruges. [109]Né mancavano i musici,tubatoresetubiciniopiffaria suonare bombarde e zaramelle; [110]tra il cui strepito giungeva al Signore persino la voce di astrologi di grido, quali Biagio Pelacane da Parma, annunziante le profezie dell’anno corrente, e Giovanni di Catalogna gli influssi e le calamità derivanti dall’apparizione d' una cometa nel 1402. [111]Ma fra tutte le lettere pervenute a Paolo Guinigi, qui superstiti, certo nessune altre gli erano più accette di quelle che toccavano il suo cuore di sposo e di padre, ora rivelato nella segreta intimità dei suoi stessi affetti familiari e dei suoi più fieri dolori.
«Heu proh dolor, suspirijs et amarissimis fletibus plenus afflictam animam meam penetrantibus, cogor non sine lacrimis recensere... O utinam dolores quos ex hac immatura separatione tam dulcis tamque dilette et nature et moribus meis conformis coniugis et consortis assumpsi, equo et patienti animo tolerare valeam ! » [112]
Cosi scriveva il 14 settembre 1416 a Rodolfo III da Varano per anunziargli la morte della figlia di lui, la sua dolce consorte Piacentina, che lo aveva fatto padre di cinque figli. E frequenti ricorrono le notizie della salute delle piccole Sveca e Vangelista, di Agostino, Renaldo e Ridolfo, date dai famigli, dal segretario Guido Manfredi, dagli stessi medici curanti, quando la cara prole era inferma. [113]. E la mamma medesima informava il babbo, con la più sollecita soavità degli affetti, delle sue gioie ed ansie materne.
« Alle 3 hore lo missi a lecto, et dormio con rincrescimento infine alle 9, et da poi dalle 9 iene alle 15 a dormito assai bene, et è stato sempre «ressa la puppa. E questa mattina s' è levato piú alegro che facesse ancora. » [114]
E altrove la nonna Costanza di San Severino, madre di lei Piacentina, così illuminava un episodio di vita infantile:« Gier sera accadde de caso che cencio madonna Sveva ad Camerino lu ivamnzolo suo piccinino volse frecto volere andare ad la zia madonna Viviana, e cendo nella logia... volendo lu decto mammolo collere fiori, come lo inimico della humana natura volce, cadde de socho, de alto pè, e per Dio gratia fine a qui no pare agia male veruno. » [115]
Eterni bagliori di poesia, fra le lacrime e il sangue che gli uomini e la na-tura fanno versare, e di cui grondano più che non sorridano di gioie, anche le pagine di questo carteggio.
Altri aspetti del carattere di Paolo Guinigi sono rivelati dal suo ampio carteggio, come le generose beneficenze verso le opere pie cittadine e le molte congregazioni religiose, nelle quali assiduamente curò non solo il ritorno dello spirito
ascetico, ma anche il rifiorire degli studi. [116]Né manca un riflesso della rinascente cultura umanistica dai centri più luminosi donde era irradiata, quali le Università di Bologna e di Padova, Siena, Torino e Perugia, frequentate da studenti e da lettori lucchesi. [117]Dei quali ultimi ricorrono nomi già noti o nuovi, in particolare nella scienza medica, coltivata in Lucca sempre con onore e profitto, come quello celebre di Ugolino da Montecatini [118]già ricordato per avere curata nella estrema
infermità Ilaria del Carretto, e gli altri di Iacopo di Coluccino, [119]di maestro Davino Nigarelli [120], di Iacopo Martini e Antonio da Silico [121], di Paolo Lupardi, insegnante a Siena e a Bologna, [122]e perfino di un Simone oculista carcerato a Lucca. [123]
La storia della medicina potrà del pari trarre vantaggio dalle diffuse notizie sulle varie pestilenze che infierirono in questo periodo nel territorio lucchese ed altrove, [124]come apprendere dalla parola stessa dei sanitari il corso dei morbi e l’efficacia delle cure, [125]fra le quali indicatissime quelle del celebre Bagno di Corsena. [126].
Ma fra i maestri di vita passano, cavalieri della morte, i capitani di ventura più tristamente famosi, le cui gesta dànno contributo notevole alla storia delle prime compagnie italiane. L’invasione di Braccio da Montone nella Lucchesia, [127]poi la sua guerra nelle Marche, [128]le imprese di Muzio Attendolo e la rapida fortuna di Francesco Sforza, [129]le vittorie del valoroso, quanto sventurato Carmagnola, [130]i passaggi delle brigate di Facino Cane, del Tartaglia, di Bernardone delle Serre [131]e di altri condottieri, chedi guerra vivevano, trovano nel carteggio del Guinigi, che n' ebbe triste esperienza, documentazione ampia ed esatta. Di conseguenza, non mancano informazioni sul modo d' armare le fanterie, sulle vecchiearmi difensive ed offensive sempre in uso, come sulle prime artiglierie e intorno alle opere di fortificazione, quale la cittadella di Livorno, fatta costruire dai Genovesi nel 1413 da Giovanni da Savignano. [133]Tra queste notizie, che alla guerra, argomento più frequente, si riferiscono, purtroppo ritorna l’eco di truci episodi che fecero anche allora fremere d' orrore, come la, strage dei Trinci di Foligno, quella dei Malaspina della Verrucola e dei Rossi di Parma. [134]E che una simile
fine minacciasse lo stesso Signore di Lucca attestono le congiure mosse contro di lui, dopo di quella che all’inizio del principato fu diretta dal vescovo della città, suo cugino, Nicolao Guinigi. [135]Né solo a questo parente fece grazia, ma anche ali' altro ingrato familiare Nicolao da Berla de' Guinigi, reo dello stesso delitto, [136]come del pari perdonò con la generosità dell’animo aborrente dal sangue Giovanni Viviani e Puccinello Turchi, Giovanni Diversi e Tommaso Quartigiani, [137]e re-legò similmente oltre i confini chi più d' ogni altro aveva beneficiato del suo favore, per sé e per il figliuolo, fatto promuovere vescovo di Luni, [138]il segretario Guido Manfredi da Pietrasanta insieme co 'I genero Giovanni Turchi. [139]
Tralasciando per brevità di rilevare l’importanza di questo carteggio sotto altri aspetti, come il costume e la lingua viva, parlata nelle principali regioni d' Italia, abbiamo voluto di proposito insistere su questi atti di clemenza compiuti dal Guinigi, e tanto più ammirabili quanto meno frequenti al suo tempo, perché son quelli che meglio ne designano I' intimo carattere.
Per ciò concludendo il rapido profilo del Magnifico di Lucca, possiarno ripetere ehe appunto la conoscenza fatta sui documenti della sua figura e del suo governo, della sua vita pubblica e privata, é tale da presentarlo con giudizio sereno nella migliore luce della storia. Per la giusta valutazione dell’opera di lui conveniamo dunque co 'I cronista lucchese Sesti, quando disse che egli e ornò la patria di belle e savie leggi, le quali non ostante l’odiosità del legislatore incontrarono tanto plauso che meritarono essere sino a' di nostri osservate. [140]
Anche più equo, perché corrispondente a verità, riteniamo il giudizio del Beverini, il quale esaltati i meriti dell’unico Signore cittadino che Lucca sostenne, volle con eleganza retorica, ma con ardente spirito di libertà repubblicana, terminare così l’elogio magniloquente:
« Unus certe omnium maxime dignus qui Patriae imperare', si in ea Urbe natus esset, quae Dominos petti posset. » [141]
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Intorno al metodo seguito per il regesto di questo carteggio poco dobbiamo aggiungere a quanto fu già detto in fine della prefazione del precedente volume dei Regesti dell’Archivio di Stato in Lucca. Osserviamo semplicemente che alla parola regesto non é stato dato il senso diplomatico della parola stessa, bensi fu intesa come il riassunto dell’atto, e tale che desse prima allo studioso la conoscenza del contenuto, e poi all’archivista il mezzo di ritrovare senza indugio il documento nella serie di scritture riordinate in rigoroso ordine cronologico. Tale sistema ha lasciato libertà d' inventario, ristretto ad un succinto cenno, o ampliato
fino alla trascrizione del testo, a seconda dell’importanza dell’atto riconosciuta dal criterio dell’archivista. Per quanto é stato possibile le lettere vennero sempre citate co' la loro data cronologica topica, co 'I nome del mittente e del destinatario, e co' la indicazione se scritte in latino o in volgare. Furono composti in corsivo i passi che nell’originale sono in cifra, oppure distinti da segni convenzionali; la quale decifrazione, fatta co '1 sussidio del registro ufficiale della cifra del Guinigi, é stata fatica più di pazienza che di diligenza, come generalmente ogni laborioso ordinamento d' archivio. Tuttavia se pensiamo che questo vasto materiale, diffuso in più serie di scritture, fra la Bibblioteca Governativa di Lucca e questo nostro Archivio, pur essendo di grande valore storico era rimasto fino ad oggi quasi inesplorato, riconosciamo che ben meritava le nostre assidue cure, e per ciò siamo lieti d' averlo potuto rendere facilmente accessibile agli studiosi, e in particolare a quelli che non possono fare ricerche direttamente sul luogo. Questi studiosi dovranno dunque esserne grati non a chi ha compiuto un modesto dovere d' ufficio, sibbene all’Istituto che, pur nella ristrettezza dei mezzi economici di cui può disporre, volle curarne la stampa: la R. Accademia Lucchese di Scienze Lettere ed Arti, che generosamente ospitò questo volume nella serie delleMemorie e Documenti per servire alla Storia di Lucca, e ne sollecitò il compimento per la fausta occasione delle onoranze al già suo` illustre Vice Presidente, Salvatore Bongi, che delle ricchezze di Paolo Guinigi fu autorevole espositore.
Chi ha scritto poi questa sobria introduzione, inadeguata certamente all’im-portanza del carteggio regestato, sente, prima di terminare, più che l’obbligo di adempiere a un doveroso atto di gratitudine, il desiderio vivo di esprimere uno spontaneo sentimento del cuore. E questo é di salutare con riverente e memore affetto l’illustre collaboratore Luigi Fumi, che nella sua grande bontà e, cortesia si compiacque affidargli la continuazione e il compimento del lavoro, quando nel 1907, promosso alla Soprintendenza dell’Archivio di Stato in Milano, lasciò la Direzione di questo nostro in Lucca. Tale sincero omaggio di riconoscenza affettuosa e tanto più sentito dall’umile discepolo, quanto maggiormente trova nel quo tidiano lavoro d' archivio quella serena pace dell’animo cui lo guidò il maestro suo indimenticato, così superiore per meriti, ma eguale nel sacro amore per le memorie della Patria.
E. LAZZARESCHI
Strumenti di ricerca:
[BNG001] - inventario a stampa
Archivio di Stato di Lucca, "Regesti", III, (parte I), "Carteggio di Paolo Guinigi, 1400-1430", a cura di L. Fumi ed E. Lazzareschi, Lucca, 1925 (parte II). "Carteggio di Guido Manfredi cancelliere della Repubblica di Lucca, segretario della signoria di Paolo Guinigi. 1400-1429", a cura di E. Lazzareschi, Pescia, 1933. - inventario a stampa
Consistenza:
voll: 9
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pergg: 6
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2006-03-15, OR
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